Ancora sottotetti milanesi, 24.6.04

 

E’ del 10 dicembre 2003 il mio pezzo La rovina definitiva dello skyline milanese. Raccontavo del disastroso effetto della legge regionale cosiddetta “dei sottotetti”. Il 24 gennaio successivo “la Repubblica” ne pubblicava una versione ridotta sulle pagine di Milano. Si sono mossi i Verdi; il consigliere comunale Baruffi è intervenuto più volte; in eddyburg Mariacristina Gibelli ha fatto pubblicare (20 marzo) l’appello e la petizione del Gruppo consiliare dei Verdi; l’amministrazione comunale, vagamente spaventata dalle oscene apparecchiature edilizie più meno abbainiche e persino da interi piani (dotati a loro volta di sottotetto!) apparsi al di sopra dei cornicioni anche di bei palazzi Ottocento e Novecento, ha tentato di buttarla sull’estetica, impegnando per finta sé stessa e qualche collega solleticato in una fantomatica commissione a controllare meglio “d’ora in poi”, a bocciare un po’ di progetti; la Fondazione degli architetti milanesi (colleghi, questi, da me già segnalati per l’ambiguità del loro comportamento) ha dedicato una serata alla discussione del fenomeno (alla quale ho evitato di partecipare). Per dire come nomi emeriti, lì presenti, non abbiano capito nulla: Gae Aulenti, invece che contestare la legge e chiederne la cancellazione o la radicale trasformazione, l’ha buttata, anche lei, nell’estetica, nel mero disegno architettonico: i risultati non sarebbero buoni perché si farebbero abbaini di gusto ottocentesco e non coraggiosamente moderno! (riportato da “la Repubblica”). Grazie tante: i vecchi abbaini milanesi nei tetti di coppi, soprattutto in case popolari ora sparite o diventate irriconoscibili protagoniste di mercati a prezzi altissimi, appartenevano strettamente, armonicamente alla costruzione, erano semplici, contenuti elementi necessari a solai non destinati ad abitazione (come avveniva invece, ad esempio, in numerosi edifici torinesi nei quali, infatti, l’abbaino veniva realizzato secondo misure ben più ampie e sforava verso figure mansartiane francesi). Sarebbe dunque la mancanza di fantasia, di idea architettonica la responsabile? Ma via, non solo l’aggressione al cielo non si è fermata essendosi ridotto a mero, breve teatrino il pentimento del Comune,  ma  se ne vedono ogni giorno di tutti i colori, peggio di prima quanto a fantasia, perversa interpretazione della legge, liberismo anarcoide al puro fine dello sfruttamento massimo di superfici e volumi. Altro che gusto ottocentesco, cara Gae. A costo di ripetermi narro: tempietti accostati l’uno all’altro occupanti l’intero fronte, mezzi tuboni a schiera penetranti nella profondità del tetto opportunamente rialzato e reso ripido; nuovo semipiano finestrato oltre il vecchio cornicione e nuova base più alta di partenza del tetto a sua volta rimpinzato di “abbaini” per ottenere due piani d’abitazione in più, e altre creazioni di una nuova specie di “architettura”, quella pornografica, particolarmente adatta al compito di una città volta soprattutto al comprare e vendere.

Ed ecco,  in merito al tema dei sottotetti, l’ultima notizia davvero sconcertante. E’ questa, in verità, la ragione che mi ha spinto a intervenire di nuovo.

Una strana “società”, denominata RIABITA 2004, sostenuta da alcune industrie edili medio-piccole, bandisce tramite la Rima Editrice un concorso nazionale “finalizzato all’individuazione e alla valorizzazione di recenti interventi di ristrutturazione relativi alla tipologia: mansarde e sottotetti”. Eccovi serviti, tutti voi dapprima fiduciosi in una naturale regressione del fenomeno. Sentite ancora: “La valutazione della giuria terrà conto del carattere innovativo dell’intervento (sottolineatura mia) sia sul piano tipologico sia del linguaggio…”. E la giuria? Stento a capacitarmene, ma i membri più autorevoli sono architetti e professori che conosco bene: Cesare Stevan, già preside per vent’anni alla Prima Facoltà di architettura del Politecnico, Amedeo Bellini, uno dei maggiori esperti nel campo della conservazione dei beni architettonici e del restauro, Antonio Piva, formatosi in riferimento alla cultura e alle opere di Franco Albini, Fabrizio Schiaffonati, già direttore del dipartimento “tecnologico” per la progettazione e produzione edilizie. Dunque? Come possiamo vincere a Milano le nostre battaglie per salvare i residui di funzionalità e bellezza che ancora qua e là presenta, se abbiamo nemici nelle nostre file?

Lodo Meneghetti, 24 giugno 2004