Edoardo
Salzano, direttore di Eddyburg
Ringrazia tutti i presenti, numerosi
nonostante il caldo. Purtroppo ciò che sta succedendo a palazzo Madama impedisce
ai senatori di essere presenti, e anche numerosi deputati hanno impegni in
aula.
La proposta di legge che oggi viene presentata
scaturisce da un’iniziativa sollecitata dalla lunga battaglia condotta contro
la proposta di contro-riforma urbanistica a firma dell’onorevole Lupi,
fortunatamente non approvata nella scorsa legislatura.
La nuova proposta può essere considerata come liberale, nel significato che a tale
parola sarebbe attribuito da Luigi Einaudi, e pienamente in linea con gli
orientamenti espressi in sede europea. E’ una legge essenziale: come la Lupi,
si occupa solo della pianificazione del territorio. Tra l’altro consente di
superare alcuni madornali equivoci ormai dilaganti, il più clamoroso dei quali
riguarda i cosiddetti “diritti edificatori”, ossia il fatto che le previsioni
dei piani che comportano la facoltà di edificare non possono essere modificate
senza “compensare” i proprietari delle aree.
Afferma che alle persone che hanno promosso
questo incontro interessa, ancor più delle singole indicazioni dell’articolato
normativo, la possibilità che un gruppo di parlamentari, delle diverse
componenti dell’Unione, possa fare propria la proposta di legge e sostenerla
nel dibattito parlamentare che – spera
- si avvierà nei prossimi mesi.
Paolo Berdini, Amici
di Eddyburg
Spiega che le motivazioni che hanno portato a predisporre un nuovo
testo di legge nascono, come già ricordato da Salzano, dallo scampato pericolo
della mancata approvazione del disegno di legge Lupi-Mantini, ma hanno il loro
fondamentale riferimento in alcuni passaggi del programma dell’Unione, in
particolare dov’esso afferma l’intenzione di “varare una nuova legge quadro
per il governo del territorio che operi secondo i seguenti criteri: evitare il
consumo di territorio senza prima avere verificato tutte le possibilità di
recupero, riutilizzazione e sostituzione”. Tale passaggio riprende
chiaramente l’impostazione di alcune leggi regionali, come quella della
Toscana: regione che, assieme alla Sardegna, si è distinta per un particolare
impegno nel cercare di arrestare il dilagare dell’urbanizzazione.
È comunque indispensabile che lo sforzo delle regioni trovi un
riferimento nei principi di competenza dallo Stato, e che, tra questi, il
fondamentale, a scala nazionale, sia rappresentato dall’obiettivo di provvedere
al contenimento del consumo di suolo.
È un orientamento che molti
altri Stati europei hanno già espresso, tant’è che anche governi di stampo
conservatore non lo mettono in dubbio.
La sfida che l’Europa ha intrapreso è quella della rinuncia alla
crescita indefinita, in favore della riqualificazione diffusa del patrimonio
esistente e della riorganizzazione delle città: esattamente il contrario di
quanto avvenuto in Italia nell’ultimo quinquennio. Qui purtroppo si è invece assistito
alla progressiva limitazione delle tutele, all’approvazione di una serie di
condoni, all’indebolimento del sistema di regole e, soprattutto, ad una stretta
sui conti delle amministrazioni locali, le quali, per farli quadrare, per far
fronte con gli oneri urbanistici alle esigenze di bilancio, sono diventate
sempre più favorevoli al rilascio delle concessioni edilizie.
Anche osservatori moderati come l’editorialista del Corriere della
Sera, Francesco Giavazzi, hanno riconosciuto che l’offensiva contro le regole
urbanistiche e il contestuale taglio dei trasferimenti, hanno finito col
tradursi in un sostegno fortissimo alla rendita immobiliare.
È ben dal 1992 che si è imboccata la strada della deregulation: attraverso i programmi complessi che, tramite accordo
di programma, hanno consentito di approvare proposte di ogni genere in variante
ai piani regolatori. Sono pertanto ormai quindici anni che si continua a
privilegiare la strada di una somma di interventi puntali, così rinunciando a
valutare e pianificare in termini generali. E gli effetti sono oggi davanti
agli occhi di tutti; nelle città, le condizioni di vita sono peggiorate; non
c’è stato alcun miglioramento, nemmeno da un punto di vista funzionale.
Per salvare le città, è quindi necessaria un’inversione di rotta:
bisogna puntare al governo pubblico del territorio, comprimere la rendita e
cercare di colmare il ritardo rispetto agli altri paesi dell’Europa.
Prima di passare all’illustrazione della legge, si sofferma su un
aspetto che ritiene fondamentale, facendo presente che la riforma
costituzionale del 2001 – ricorda che è Luigi Scano ad averlo giustamente
indicato - produce un’insanabile contraddizione, laddove elenca il governo del
territorio assieme a materie che – com’è logico ed evidente – nel medesimo
concetto sono in realtà già comprese. Un pasticcio lessicale che ha rafforzato
la separazione tra l’urbanistica e le politiche di settore (infrastrutturali,
ambientali, e simili) quando – al contrario - sarebbe invece indispensabile
provvedere alla ricomposizione delle diverse materie in un stesso governo
unitario. È per questo motivo, per dover prender atto di tale impostazione, che
si è dunque scelto di riferirsi alla “pianificazione” e non al “governo del
territorio”.
Illustra quindi i principi della legge.
Spiega che, come già evidenziato da Salzano, essi si rifanno al
pensiero liberale, in particolare laddove si afferma che la titolarità della
pianificazione compete alle sole istituzioni pubbliche ed altresì che essa si
esercita attraverso atti di pianificazione. Ne consegue che anche per gli
accordi di programma vale la regola che essi debbano essere stipulati in
conformità alle prescrizioni della pianificazione, come peraltro già asserito
in un precedente disegno di legge (a firma Lorenzetti e Alborghetti) che si è
voluto riprendere e ribadire.
Altri principi sono invece innovativi: è il caso del diritto alla città
e all’abitare, sempre più compromesso
dall’innalzamento dei valori immobiliari (cresciuti del 70% in soli sette anni,
secondo Nomisma e Ance); è il caso della partecipazione sociale, della
diffusione delle informazioni e della trasparenza del processo delle decisioni,
e, in corrispondenza, dell’ampliamento delle forme di coinvolgimento dei
cittadini, così come peraltro stabilito
dalla direttiva europea sulla VAS, che la proposta di legge puntualmente
recepisce.
Tocca, infine, la questione dei centri storici che – assieme al
paesaggio – rappresentano l’identità culturale del paese. Nella presente fase,
caratterizzata da pressioni crescenti volte a modificare l’uso e l’assetto dei
centri storici, gli organi preposti alla loro tutela sono sottoposti ad un vero
e proprio fuoco di fila. Nella proposta di legge, si prevede per i centri
storici una tutela ope legis,
affidata a piani urbanistici, da formare d’intesa con le Soprintendenze,
secondo quanto peraltro già previsto – e che qui si riprende e sviluppa – da
un’iniziativa avanzata dal Ministero dei beni culturali e ambientali nel 1997,
e che allora fu bloccata, anche per l’opposizione di esponenti del centro
sinistra.
In conclusione, sottolinea come questa proposta di legge intenda
accogliere la sollecitazione di Romano Prodi a “costruire un sogno” per
l’Italia di domani. Il sogno della proposta è realizzare le condizioni per un
paesaggio realmente integro, per città più ordinate e giuste, per centri
storici ancora più belli e tutelati nei confronti di ogni possibile
manomissione.
Paolo Cacciari,
deputato, Rifondazione comunista
Esprime, anche a nome del gruppo a cui appartiene, gioia e
soddisfazione per la proposta di legge, e dichiara la disponibilità ad
attivarsi per ogni iniziativa utile a dare concretezza alle parti del programma
dell’Unione richiamate da Berdini.
Giudica estremamente utile la sinergia tra politica e mondo culturale e
si pronuncia d’accordo con i contenuti della proposta.
Pone l’accento sul concetto di liberalismo,
e sottolinea come esso non vada confuso con liberismo,
dal momento che è stata l’ubriacatura liberista a far dimenticare che il suolo
è un monopolio naturale e a sottovalutare i limiti del mercato.
Le conseguenze del passaggio dai monopoli pubblici a quelli privati
sono ben testimoniate dalla vicenda delle autostrade: persino negli Stati Uniti
si è provveduto, introducendo le tasse di scopo, a tagliare le rendite generate
dalla realizzazione di infrastrutture, mentre invece da noi, tutti gli
incrementi di valore determinati dagli investimenti pubblici, rappresentano a
tutti gli effetti, e per intero, solamente un regalo per la rendita
immobiliare.
Gianni Piatti,
Sottosegretario al Ministero dell’ambiente e tutela del territorio, Democratici
di sinistra
Considera i livelli abnormi raggiunti dalla crescita urbana, e fa
presente come la pianificazione sia diventata flessibile oltre ogni misura, con
forme di contrattazione che hanno di fatto annullato ogni visione strategica.
Ritiene che sia perciò necessario ricostruire un giusto equilibrio tra
obiettivi strategici e flessibilità, e d’altra parte farsi carico dei problemi
derivanti dalla riorganizzazione produttiva avvenuta in molte regioni.
Cita il Nord d’Italia, dove il paesaggio rurale, invaso dalle
costruzioni, è sparito nell’indifferenza generale, mentre invece, nel resto
Europa, oggi è al centro di significative politiche di valorizzazione.
Ritiene che la VAS possa costituire un’occasione per dotarsi di una
vera pianificazione strategica.
Mirko Lombardi,
responsabile nazionale del territorio, Rifondazione comunista
Afferma che imboccare una strada diversa dal passato è molto difficile,
ma tuttavia indispensabile.
È dell’opinione che il territorio debba essere considerato un bene
comune, nell’interesse degli uomini ma anche degli altri esseri viventi, e che
perciò occorra riprendere il concetto di “fabbisogno”, e supportare solamente
le trasformazioni realmente necessarie.
In altri termini: bisogna smettere di guardare con favore a ogni
iniziativa, qualsiasi essa sia, solo perché così facendo si spera di ottenere
in cambio qualche contributo sociale; è necessario invertire la logica,
definire ciò che realmente occorre, puntando su una diversa relazione tra città
e territorio circostante, favorendo il cosiddetto “ciclo corto” e le “economie
di prossimità” e riducendo pertanto la necessità di spostamento delle merci.
Sergio Brenna,
Politecnico di Milano
Ricorda che il 1992 è stata la data fatidica in cui il modello milanese
– noto come “rito ambrosiano” – ha cominciato ad avere successo, e come non sia
un caso che Lupi e Mantini provengano da Milano e che – insieme con l’assessore
Verga – rivendichino con orgoglio tale modo di operare.
Sulla base di tale modello, il motore di tutte le trasformazioni è
l’investimento immobiliare: stabiliti i soldi che occorrono al promotore, si
definiscono i metri cubi che gli assicurano la redditività degli investimenti.
Così è accaduto per la Fiera; così per le aree degli scali ferroviari. È una
logica perversa, assunta a modello dalla nuova legge regionale lombarda – la LR
12/2005 - che rinuncia completamente alla pianificazione strutturale a favore
esclusivo di piani operativi quinquennali, di corto respiro.
Fa presente come sia proprio l’esperienza lombarda a fargli credere che
il testo della legge debba ribadire alcuni principi fondamentali, che sono
conquiste storiche degli anni ’60 e ’70, e che le leggi regionali non sempre
riaffermano: è il caso della cessione gratuita delle aree per attrezzature nei
comparti di trasformazione dei piani attuativi, dell’onerosità degli atti
abilitativi (messa in crisi dal cambio di denominazione da “concessione” a
“permesso di costruire”), della necessità di legare gli oneri di urbanizzazione
alle opere da realizzare, destinandoli ad un conto vincolato e non alla
copertura della spesa corrente.
Rimarca infine la necessità di censurare ogni tentativo di riduzione
degli oneri di urbanizzazione, anche quando giustificato da migliorie
ambientali (ad esempio con il ricorso a sistemi alternativi di produzione
energetica), come avviene ad esempio in Toscana.
Luisa Calimani,
Città amica
Rileva a quali livelli di involuzione si sia purtroppo arrivati, e come
sia ormai usuale sentirsi dire che la pianificazione non serve, e che i diritti
edificatori, una volta acquisiti, grazie alle previsioni di piano, lo sono per
sempre. Vede quindi con grande piacere la proposta di legge, e in particolare,
lo stabilire che i vincoli espropriativi abbiano una durata di dieci anni e non
cinque.
Fa presente la necessità di rivolgere l’attenzione ad un aspetto ben
preciso: la necessità di porre un freno all’espansione delle città non deve
rischiare di trasformarsi nell’utilizzo di tutti i terreni posti al loro
interno; gli spazi verdi del contesto urbano sono forse ancor più preziosi di
quelli periurbani.
Riprende infine il tema del rapporto tra pianificazione e governo del
territorio. La questione non è di poco conto: o il governo del territorio è
determinato dalla banale sommatoria di materie, oppure – come sarebbe giusto –
è la funzione che le comprende e le riconduce ad unitarietà. Ritiene pertanto
opportuno promuovere una specifica modifica nell’ambito della complessiva
revisione costituzionale.
Claudio Falasca,
CGIL
Esprime la solidarietà della CGIL; è d’accordo sul fatto di muoversi
immediatamente, fin dal primo avvio della legislatura, e pensa che la proposta
possa costituire una buona base di partenza. Ritiene comunque che l’azione
parlamentare non basta, che occorre “alzare il tono”, programmare ulteriori
iniziative, rilanciare la discussione in altre sedi, diffondere il più
possibile la proposta.
È necessario sì fare chiarezza sulla questione urbanistica/governo del
territorio, ma soprattutto mettere in luce che l’Italia è cambiata, che bisogna
farsi carico della riorganizzazione produttiva in atto e governare i processi
di cambiamento (cita come esempio il problema dell’organizzazione della
mobilità, e delle persone e delle merci). È per tali ragioni che pensa che la
proposta non debba essere troppo difensiva, ma più aggressiva, e che sia
necessario essere molto propositivi e affrontare le questioni di merito. Pone
un esempio concreto: il rapporto porti-città, con quali strumenti può essere
governato?
Rileva come meriti approfondire alcuni termini, quali ad esempio i
concetti di sostenibilità e partecipazione.
La sostenibilità non può essere ricondotta alla sola dimensione
ambientale; essa coinvolge, con pari rilevanza, la sfera sociale, economica e
istituzionale.
La partecipazione deve essere intesa come parte strutturante: la
gestione dei conflitti locali, che sono in continuo aumento, non può essere
risolta – a valle – caso mai con il commissariamento. Il coinvolgimento dei
cittadini deve esserci ma in ogni caso anche precedere la formulazione delle
proposte.
Evidenzia la necessità di spostare l’orizzonte oltre alla contingenza
quotidiana, e tornare finalmente a
parlare del futuro.
Giuliano Cannata,
geologo, territorialista
Sottolinea il carattere decisivo della questione economica. L’economia
si è definitivamente slegata dal valor d’uso dei beni prodotti: essa consiste
totalmente e solamente in economia di scambio, circolazione di moneta. E cio
non succede solo in Italia; cita l’esempio della Spagna, dove l’incremento dei
valori immobiliari - favorito da un’incredibile circolazione di moneta,
contante e spesso “in nero” - è ancora più accentuato; l’espulsione dei
cittadini dal centro delle città è determinata da investimenti finanziari, e
altri investimenti finanziari favoriscono la costruzione delle metropolitane
che poi - ogni giorno - riportano gli stessi abitanti verso il centro delle
metropoli.
Anche la costruzione di capannoni è tutta imputabile a logiche di
investimento immobiliare: la produzione si è smaterializzata; ogni operaio
produce beni sufficienti per 150 persone; ogni contadino per 170; su 10 persone
solo 3 producono beni, gli altri scambiano informazioni. Perchè dunque
costruire capannoni a questo ritmo? Il motivo sta nel fatto che direttamente o
indirettamente la costruzione è pagata da contributi pubblici.
Infine, il territorio non urbano. La trasformazione, in questi ultimi
anni, è stata qui ancora più radicale: in poco tempo, grazie all’abbandono
delle coltivazioni, la superficie boscata è cresciuta di ben il 37%; il
fenomeno è così imponente che persino il ciclo dell’acqua si è modificato
(aumenta l’assorbimento vegetale e si riduce l’apporto ai fiumi, che si stanno
seccando). Si pone quindi la domanda: che fare, dunque, del territorio
agro-forestale?
Roberto Camagni,
Politecnico di Milano
Rileva come la convergenza ideale registratasi negli incontri della
Fabbrica del programma non si sia poi traslata per intero nel programma dell’Unione:
alla città è stata dedicata una sola pagina e mezzo. I problemi relativi al
territorio sono ampiamente sottovalutati. Sul consumo di suolo, per esempio,
non si possiedono nemmeno le conoscenze più elementari: salvo poche eccezioni,
non c’è nessuno che lo rilevi, nessuno che lo controlli; al contrario, esso
dovrebbe figurare tra le linee guida nazionali.
Concorda sul fatto che la finanziarizzazione dell’economia, la
crescente mole di investimenti in real
estate, favorita da norme sempre più leggere e permissive, rappresenti uno
dei nodi principali che ci si trova a dover sciogliere.
Ricorda come oggi la grande liquidità presente sui mercati, cui si
accompagna in Italia un’elevata propensione al risparmio, si riversi in gran
parte sul mercato immobiliare, e a un punto tale da rendere conveniente tenere
i prezzi alti, pur determinando forti quote di invenduto.
Fa presente come qualsiasi legge sia destinata al fallimento se non si
riforma la finanza locale, ma che invece molto possa essere fatto per correggere
le tendenze spontaneistiche. Cita l’esempio della Francia, dove la legge
sull’intercomunalità consente per l’appunto ai Comuni di condividere gli
introiti: ne consegue che i sindaci, potendo comunque fruire delle quote
condivise, sono meno interessati ad attirare nuove costruzioni nel proprio
territorio. Anche in Italia si stanno promuovendo forme volontarie di accordo
intercomunale, ma qui in mancanza di riferimenti legislativi.
Sottolinea infine come la proposta presentata sia una riforma liberale,
e senso più vero: esiste infatti un interesse collettivo per la qualità e
l’efficienza che non può essere soddisfatto dal mercato, destinato
inevitabilmente a fallire, come allocatore di risorse, in presenza di beni
pubblici, esternalità ed effetti di rete.
Occorre dunque affidare alla pianificazione il compito di definire le
regole complessive e il complesso di valutazioni entro i quali ricondurre le
forme di flessibilità e negoziazione, e inoltre valutare con maggiore rigore
sia gli effettivi benefici finanziari privati che si vanno a produrre che
nondimeno gli impatti e costi collettivi.
Punta l’attenzione su quanto sia oggi necessaria la valutazione
d’impatto con riferimento al sistema della mobilità: negli altri paesi europei,
come ad esempio a Barcellona per l’intervento di Nouvel, è entrata ormai
nell’uso corrente. In Italia non viene mai fatta.
Maurizio Acerbo,
deputato, vicepresidente Commissione Territorio e ambiente, Rifondazione
comunista
Informa di arrivare dalla Camera dei deputati dove (come al Senato)
sono in corso votazioni importanti che impediscono ai parlamentari di
assentirsi per partecipare all’iniziativa.
Promette di offrire il suo impegno per portare avanti la proposta e
dichiara di condividerne i contenuti: ha avuto personalmente modo di constatare
– nel territorio di Pescara, sua città – gli effetti negativi della deregulation e di programmi complessi
come il PRUSST, attraverso il quale sono stati consentiti molteplici interventi
privati, tutti in zona agricola e in variante al PRG.
Fa presente come una cattiva ideologia sia stata promossa e diffusa da
molti professori universitari, e come questa abbia incontrato il favore di
politici ignoranti, ma sempre bendisposti di fronte all’attivazione di
investimenti ingenti, anche perché portatori di risorse per le loro campagne
elettorali. Ritiene perciò che la deregulation
rappresenti un aspetto particolare della questione etica nel suo complesso.
Pur riconoscendo che il programma dell’Unione contiene affermazioni
importanti, rileva come esse non bastino, che è necessario un impegno continuo,
che le pressioni dalle lobby dei privatizzatori non sono cessate.
Giudica emblematico ciò che emerge dalla vicenda ANAS: miliardi di
investimenti mai fatti e, dall’altra parte, l’impotenza dello Stato per non
aver posto alcuna clausola per potersi rivalere. Nei comuni va ancor peggio:
solo attivando movimenti e forze sane, sarà possibile far sì che le questioni
affrontate dalla proposta di legge vengano effettivamente assunte come
prioritarie.
Fa notare che gli accordi di programma sono ormai visti come panacea
per i bilanci locali e che la privatizzazione ha toccato settori, fino a poco
tempo fa, impensabili: oggi, con i project
financing, ai privati vengono dati persino i cimiteri!
Giacomo Fontana,
Direttivo nazionale di Legambiente
Sottolinea come in questo momento il rischio sia duplice: da un lato è
probabile che la proposta Lupi-Mantini venga ripresa, dall’altro – il che è
ancor peggio - che cali il silenzio sull’intera questione urbanistica.
Riprende alcune questioni già sollevate.
Pianificazione e governo del territorio: il prezzo della loro crescente
separazione è stato pagato dal territorio. Capisce i motivi della scelta
operata nella proposta di legge, ma ritiene che l’argomento non possa essere
trascurato.
A prova del profondo legame tra difesa del suolo e scelte urbanistiche,
cita l’episodio della frana di Scilla, che ha investito delle costruzioni
abusive, e non – ma solo per puro caso - un intero quartiere, edificato
regolarmente, ma comunque posto in un’area altrettanto pericolosa.
Anche nel settore dell’energia si è assistito ad una frammentazione
delle decisioni e ad esiti che hanno prodotto non poche discussioni, anche
all’interno del mondo ambientalista: fa l’esempio delle pale eoliche,
collocabili a libera scelta dell’iniziativa privata, mentre è evidente che sono
i piani che dovrebbero occuparsene.
Evidenzia, infine, aspetti della proposta che trova particolarmente
positivi o viceversa critici.
Tra i primi cita: l’aver affermato il primato della pianificazione;
l’aver recepito lo strumento della VAS (mentre, ad es., la legge sicilana ha
sancito che la VAS non va applicata ai PRG ed essa pertanto è stata presa in
considerazione ma in negativo, per escluderne l’utilizzo); l’aver assunto il
principio del diritto alla città e all’abitare; l’aver determinato un rapporto
equilibrato tra perequazione e ricorso all’esproprio.
Tra i contenuti che ritiene invece doversi perfezionare e rafforzare –
soprattutto in relazione al Meridione – individua:
- la necessità di porre un divieto esplicito al finanziamento di programmi
costruttivi in deroga ai PRG (succede che, quando un finanziamento è attivato,
nessuno poi si oppone all’intervento, e che si modifichino tranquillamente i
piani, per consentirne la realizzazione);
- l’esigenza di rendere più stringente il concetto di fabbisogno; in Sicilia –
nella Conca d’Oro – solo il 15% del suolo è ancora libero da costruzioni ed è
in atto una corsa tra quelli che vogliono accaparrarsi, con ogni possibile iniziativa,
quel poco che è rimasto; basti pensare ai centri commerciali, che in Sicilia
sorgono “a iosa”; a che servono? è giusto sacrificare in loro nome il poco
terreno ancora rimasto in un’area come per l’appunto la Conca d’Oro? Non è solo
la mafia a premere per costruire; se, come avviene, le richieste provengono
dalle COOP, sono accettabili?
Occorre inoltre vietare ogni forma estesa di sanatoria delle
costruzioni abusive: ad Agrigento, il nuovo PRG ha pensato bene di classificare
come zone edificabili lottizzazioni abusive; a Palermo si vuole fare lo stesso
con la lottizzazione di Pizzo Sella (uno dei più clamorosi casi di abusivismo,
un’intera collina urbanizzata in assenza di piano, con la realizzazione di una
settantina di ville ndr) e
regolarizzare con il nuovo piano i danni del passato. E l’obiettivo finale,
anziché procedere con la demolizione e la messa in pristino, è paradossalmente
quello di restituire le case abusive, oggi acquisite al patrimonio pubblico, a
coloro che le avevano acquistate al momento dell’abuso! Tutto ciò deve essere
impedito.
Edoardo
Salzano
Ringrazia tutti coloro che sono intervenuti. I
loro contributi positivi aiuteranno a sviluppare il lavoro. Esprime il
rammarico per l’assenza di molti senatori e deputati, che avevano assicurato il
loro appoggio alle nostre proposte, dovuta all’andamento dei lavori
parlamentari; ci sarà modo per recuperare.
Sostiene che nel merito delle questioni sia
necessario lavorare su tre piani distinti, sebbene tra loro strettamente
connessi
In primo luogo, sul terreno specifico di questa legge che è stata presentata. Nel
merito delle proposte avanzate non sembra vi siano state obiezioni o riserve:
si è criticato quello che non c’è, non il contenuto della proposta. E’ massima
l’urgenza di presentare comunque un testo in Parlamento, perché la discussione
si apra su di esso. Naturalmente, mentre i parlamentari procedono nel loro
lavoro, ai promotori della proposta è richiesto di lavorare su quelle
integrazioni che sono state proposte (per esempio, da Sandro Brenna), che
possono trovare spazio in una legge sulla pianificazione. Nel corso del
dibattito parlamentare non mancheranno né l’occasione né il luogo per proporle
al legislatore.
In secondo luogo ritiene che vadano raccolte
le osservazioni di quanti hanno sottolineato i nessi della pianificazione con le altre componenti del governo del
territorio: la finanza locale e, più in generale, le strutture
istituzionali e funzionali del potere pubblico; le grandi scelte di merito
e le strategie sull’assetto del
territorio (ricorda che la definizione dei “lineamenti fondamentali
dell’assetto del territorio nazionale” spetta allo Stato); le strategie della
politica energetica e della politica dell’ambiente. Stimolare una riflessione,
aprire un dibattito, formulare delle proposte su questi temi, ricordarne
sistematicamente le connessioni con la pianificazione del territorio gli sembra
che sia cosa non solo utile, ma necessaria.
In terzo luogo, infine, rileva che dalla
discussione sia emersa l’esigenza di
precisare e articolare maggiormente le proposte. Ritiene che ciò sia del
tutto ragionevole, ma osserva che occorre farlo tenendo conto che su questo
terreno lo Stato non può legiferare troppo nel dettaglio senza entrare in
conflitto con il legislatore regionale. A livello nazionale si possono tuttavia
fornire suggerimenti, indicazioni, prospettare soluzioni anche alternative per
tradurre i principi (che sono certamente di competenza statale) in atti
amministrativi con essi coerenti.
Tutto ciò richiede un grande impegno, da parte
di molti. Proverà a raccogliere la richiesta, formulata all’inizio da Paolo
Cacciari, di aprire un dibattito sui temi della proposta di legge, mediante la
costituzione di un forum su www.eddyburg.it . Ne verificherà la possibilità
tecnica, e soprattutto la disponibilità di qualche persona di buona volontà ad
aiutarlo in questo.
Conclude ringraziando di nuovo tutti i presenti, e soprattutto Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini che hanno dato avvio al lavoro sulla proposta di legge. Sono i “tre porcellini” raffigurati nell’icona che su eddyburg segnala i testi sulla proposta di legge sulla pianificazione: i tre porcellini sono l’antitesi del Big Bad Wolf, del “lupo cattivo”, che ha costituito per noi l’effige della legge Lupi.