L’Espresso, 26 maggio 2005
ECONOMIA MILANO & MATTONI / IL RITORNO DEL MASTINO
Era il re
dell’edilizia ai tempi di Tangentopoli. Ora è di nuovo ai massimi. Alleato dei
texani per la Città della Moda. E con molti amici in politica
di Luca Piana
Che Salvatore Ligresti fosse un imprenditore
tenace, pochi lo dubitavano. Che però, a 73 anni, l’antico re dell’edilizia
nella “Milano da bere” socialista nutrisse piani tanto grandiosi per il ritorno
nel settore immobiliare, non molti lo avevano intuito.
Nel vecchio feudo milanese qualcosa si era
cominciato a intravedere l’estate scorsa, quando la sua cordata Citylife si era
aggiudicata, con un’offerta da 523
milioni di euro, i terreni della vecchia Fiera di Milano per costruirci un avveniristico quartiere. Da allora, Ligresti non ha
perso occasione per mettere in chiaro che la quarantena seguita a Mani Pulite è
finita. A Roma è entrato nelle Torri dell’Eui in parte cedute dalla holding
pubblica Fintecna. A Firenze ha trovato con il sindaco Leonardo Domenici
l’accordo che la storica compagnia di assicurazioni cittadina, la Fondiaria,
conquistata dalla sua Sai nel 2002, cercava da vent’anni per realizzare un
nuovo quartiere di abitazioni, uffici e giardini nella zona Castello. Costo
stimato: un miliardo di euro. A Torino ha nel mirino le aree industriali
dismesse ed è alla ricerca di compagni d’avventura per realizzare quella che,
evocando la Parigi del Terzo millennio voluta da François Mitterrand, non ha
esitato a definire una “Défense” sabauda.
Se idee e progetti di varia natura sono
disseminati in tutta Italia, dal Golf Club di Villasimius in Sardegna,
presieduto dal figlio Paolo, al Grande Albergo Capo Taormina in Sicilia, il
centro gravitazionale resta Milano. La conferma è arrivata martedì 3 maggio,
quando la Fondiaria-Sai ha stretto un patto con i texani della Hines, uno dei
principali operatori immobiliari internazionali, per costruire quella che viene
chiamata la Città della Moda: grattacieli, uffici, case, un Museo della moda e
una scuola che verrà affidata a Politecnico, Bocconi e Cattolica. Il tutto a
ridosso del centro storico, in quella terra di nessuno fra la Stazione
Garibaldi e Piazza Repubblica, da decenni oggetto di infiniti piani di
risistemazione.
Quest’operazione conserva un filo che unisce
il Ligresti fase due, sviluppatore di grandi progetti celebrati in pubblico,
all’immobiliarista opportunista della Prima Repubblica. Si tratta di un piccolo
terreno su cui sorge la struttura per spettacoli dove oggi campeggia il grande logo
Gilli Cube, scelto dalla terza figlia, Giulia, per lanciare la sua griffe di
moda. Quando Manfredi Catella, numero uno italiano di Hines (proprietaria ormai
dell’86 per cento dei diritti di edificazione dell’area Garibaldi-Repubblica),
si è recato da Ligresti per comprare il terreno, l’ingegnere ha rilanciato:
sarà invece la Fondiaria-Sai a diventate partner di Hines, acquistando il 48
per cento della Garibaldi Scs, la società lussemburghese che realizzerà la
Città della Moda. Per la Terredi, la società di famiglia proprietaria di quel
fazzoletto di terra, dopo tanta attesa sembra assicurata una ricca buonuscita.
Nei suoi domini milanesi, peraltro, Ligresti
conta su relazioni che pochi altri possono vantare. Il grande ritorno l’ha
preparato entrando nel patto di sindacato che governa il “Corriere della Sera”,
nel cui consiglio di amministrazione siede ora la primogenita Jonella. A
livello politico, poi, la città offre all’imprenditore legami vecchi e nuovi.
Fra i più duraturi va segnalato quello con la famiglia del capogruppo di
Alleanza Nazionale alla Camera, Ignazio La Russa, originaria come i Ligresti di
Paternò, in Sicilia. Un rapporto che in febbraio ha trovato nuove conferme,
quando Geronimo, figlio 24enne di Ignazio, ha preso il posto occupato dal nonno
Antonino nel consiglio di amministrazione della Premafin, la finanziaria
quotata in Borsa che controlla il gruppo Ligresti.
Negli ultimi tempi Ligresti sembra poi aver trovato interessi convergenti con
il presidente lombardo Roberto
Formigoni, che vede la società di un suo fedelissimo, la Progettare e Costruire
di Antonio Intiglietta, sovrintendere ai rapporti fra Fondazione Fiera e Comune
di Milano per dare il via libera definitivo al progetto Citylife. Le loro
strade si sono incrociate anche su una serie di terreni agricoli che
l’imprenditore possiede nei pressi dell’Istituto Europeo di Oncologia di
Umberto Veronesi, proprio alle porte di Milano. In marzo lo Ieo ha presentato
in Regione il progetto per dar vita a un Centro di ricerca biomedica avanzata
(Cerba), dove lavoreranno centinaia di ricercatori e che, nelle intenzioni,
dovrebbe sorgere su quei terreni.
Un anno fa, quando il progetto era venuto
alla luce, si era scoperto che l’imprenditore avrebbe dato il proprio benestare
in cambio della promessa di vedersi dedicato il parco della cittadella
scientifica, e della possibilità di chiedere il cambiamento della destinazione
d’uso dei terreni, da agricoli a edificabili.
Sul primo punto, non si sa ancora come andrà
a finire. Sul secondo è venuto in aiuto Formigoni, con una legge regionale
varata poche settimane prima delle ultime elezioni, nota come “legge Moneta”
dal nome dell’assessore che l’ha firmata. Dice Basilio Rizzo, consigliere
comunale della lista Miracolo a Milano: «Le nuove norme facilitano il passaggio
di destinazione dei terreni. Basterà il via libera del Parco Agricolo Milano
Sud, dove si trovano le aree».
Un ente, quest’ultimo, su cui vigila un altro
formigoniano, Giacomo Beretta, firmatario poco tempo fa di un decalogo
ambientale promosso dal “Domenicale” di Marcello Dell’Utri, nel quale si può
leggere che «l’eccelsa perfezione della specie umana ne fa il centro e il
vertice della natura».
E’ peraltro naturale che, alla luce della discussa eredità degli anni Settanta e Ottanta, a Milano il ritorno in pompa magna di Ligresti susciti perplessità. «Le vecchie convenzioni prevedevano che il costruttore avrebbe attrezzato aree verdi e realizzato abitazioni a canone agevolato, impegni troppo spesso non mantenuti», dice Gianni Occhi, consigliere di Rifondazione, che invita a fare attenzione alla pratica di lasciare al Comune il peso degli oneri di urbanizzazione.
Rispetto al passato, la partita oggi è per certi versi più complessa. Tutti i grandi progetti nascono con una serie di vincoli fra privati e enti pubblici.
Ne è un esempio proprio la Città della Moda. L’accoppiata Hines-Ligresti è oggi di fatto proprietaria di aree non omogenee, in gran parte più periferiche, frammezzate da appezzamenti di proprietà del Comune, addensati verso il centro. Prima dell’avvio dei lavori ci sarà un grande baratto. Alla città resteranno le aree più esterne, dove verranno realizzati i nuovi uffici della Regione e del Comune, nonché un vasto parco su cui si affaccerà il campus per gli studenti. Ad Hines e Ligresti, invece, andranno le più pregiate aree centrali, dove troverà posto il complesso di uffici e abitazioni progettato dal celebre architetto argentino Cesar Pelli, costo previsto 650 milioni di euro.
Catella respinge però l’idea che nello scambio siano i privati a guadagnarci: «La nostra porzione presenta grandi problemi infrastrutturali: c’è il passante ferroviario, la metropolitana attuale ed è previsto il tracciato della futura linea 5. Anche per questo motivo innalzeremo l’area con una sorta di podio di 6 metri, sotto il quale faremo passare, a nostre spese, il nuovo tunnel coperto di viale della Liberazione».
Come in un ritornello infinito, le vecchie battaglie
fra la città e Ligresti su oneri di urbanizzazione e verde sembrano tornare sul
quartiere che sorgerà al posto della vecchia Fiera. Dalle associazioni
cittadine, soprattutto dalla battagliera Vivi e progetta un’altra Milano,
animata fra gli altri dal docente del Politecnico Sergio Brenna, non mancano le
critiche al progetto della cordata Citylife, che vede unite Generali, Ras,
Fondiaria-Sai, Lamaro e gli spagnoli del Grupo Lar. Tre i punti principali.
Primo: il progetto non prevede alcuna opera per
facilitare l’accesso dalla tangenziale, già difficile oggi, preoccupante quando
sorgeranno i tre grandi e scenografici grattacieli progettati da Daniel
Libeskind, Arata Isozaki e Zaha Hadid. Il problema sembra aver impensierito
anche i tecnici di Citylife, che in un primo momento avevano valutato se
richiedere la costruzione di una nuova metropolitana da Garibaldi a piazza
Abbiategrasso.
Secondo: il 50 per cento di verde richiesto dal
concorso non è concentrato in un unico parco, ma distribuito fra i caseggiati.
Terzo: c’è il timore che l’ombra della struttura
riduca la luce sulle vie limitrofe.
Rassicura Ugo De Bernardi, presidente di Citylife: «Le
auto in arrivo troveranno posto negli ampi parcheggi sotterranei. Le ombre non
daranno fastidio: al peggio, come avviene da tante altre strade, qualcuno non
vedrà sorgere il sole. E il parco centrale, rispetto al progetto originario, è
stato aumentato da 80 a 100 mila metri quadrati. I cittadini potranno
rendersene conto con i loro occhi quando la versione definitiva del progetto
verrà esposta al pubblico con tutta la documentazione, una volta approvata dalla
Giunta Comunale».
Un tempo l’ok definitivo sarebbe toccato a tutto il
Consiglio, opposizioni comprese. Un fastidio che, anche in questo caso,
Formigoni e la legge Moneta hanno risolto.
La capogruppo di
Salvatore Ligresti è la finanziaria Premafin, quotata in Borsa, controllata
dalla famiglia al 70 per cento.
La Premafin possiede a
sua volta il 47 per cento della Fondiaria-Sai, che si definisce il terzo gruppo
assicurativo italiano con 9,8 miliardi di premi e 8 milioni di clienti. Del polo
assicurativo dei Ligresti fa parte anche la Milano Assicurazioni, quotata in
Borsa ma controllata dalla FonSai al 62 per cento.
Al gruppo Fonsai fa
capo anche la Progestim, la società che sta realizzando gran parte degli
investimenti immobiliari che vedono coinvolti i Ligresti.
Lo scorso mese di settembre Ligresti ha raggiunto l’obiettivo, coltivato
da tempo, di entrare nel patto di sindacato della Rcs. Il 5 per cento posseduto
nella casa editrice del “Corriere della Sera” è suddiviso nel portafoglio di
otto diverse compagnie del gruppo assicurativo.
Il singolare caso del
Gilli Cube di Giulia Ligresti
Le opere provvisorie destinate a durare a lungo in Italia non sono certo una novità. Non fa eccezione il caso del Gilli Cube di via Melchiorre Gioia a Milano, la struttura reticolare rivestita in teli Pvc., come recita la concessione comunale, che dal 2002 promuove la linea di abbigliamento di Giulia Ligresti e dove si tengono spettacoli e appuntamenti di tendenza. Almeno in teoria, le strutture provvisorie dovrebbero avere la caratteristica di poter essere smontate rapidamente, e la loro concessione non dovrebbe durare più di un anno. Non così per il Gilli Cube, che sorge proprio sull’area dove nascerà la Citta della Moda, e che di volta in volta ha ottenuto dagli uffici comunali le necessarie proroghe per andare avanti. Nell’ultima occasione, il 10 settembre 2004, il Servizio Interventi Edilizi Minori del Comune faceva sapere alle società dei Ligresti interessate, la Ristorazione Terzo Millennio e la Terredi, che il permanere dell’insediamento era da ritenere ‘in via irrevocabile non ulteriormente prorogabile. oltre il 31 marzo 2005. Apparentemente, tuttavia, di irrevocabile non c’era granché, visto che il 14 marzo 2005, invece di mandare i tecnici a verificare lo smantellamento, il Comune concedeva l’ennesima proroga, questa volta fino al 30 giugno prossimo. Una data da ritenersi ovviamente non dilazionabile. Almeno fino alla proroga successiva.