Da La Zona Milano 3, gennaio 2006

 

Ignorata la massiccia mobilitazione per salvare il bosco di Gioia

VERGOGNA!

A che serve manifestare ed esprimere le proprie idee?

A volte nasce il sospetto di vivere sotto una dittatura

abilmente mascherata da democrazia

 

L’hanno fatto, di nascosto, come i nazisti che venivano di notte a portarsi via le persone. L’hanno fatto  tra San Silvestro e il 2 gennaio, approfittando delle vacanze e della partenza di così tanta gente.

Il bosco di gioia  non c’è più. Non ho altre parole… potrei parlare di abuso, di assassinio di alberi, di distruzione, di corruzione… ma non ho più parole e non ho più speranze. 17.000 firme e la mobilitazione dell’Italia intera non sono bastate. Nulla serve contro questi sedicenti governanti che non badano alle richieste dei cittadini..

Solo pochi giorni prima, all’inizio di dicembre, avevamo accolto con sollievo la notizia che il vincolo ambientale era operativo. Falsa speranza: dopo poco più di una settimana il vincolo è stato revocato e il 27 dicembre, sotto una gelida nevicata, sono arrivate le seghe dei boscaioli. Nel giro di pochi minuti scatta il tam–tam: ne parlano radio deejay, radio popolare, Beppe Grillo nel suo blog (Sarebbe volentieri intervenuto a manifestare, ma la neve bloccava l’autostrada da Genova), arrivano sul posto Monguzzi dei Verdi, Dario Fo e altri politici, insieme a una folla eterogenea di cittadini. E che dire dell’incredibile Michele Sacerdoti, il paladino del Bosco di Gioia, che eludendo le forze d’ordine che impedivano l’accesso, si è arrampicato su un faggio e lassù è rimasto per ore, incurante della neve e del gelo, così simile al Barone Rampante di Calvino da meritarsene il soprannome. Nemmeno il suo ‘inalberamento’ è servito: dopo lusinghe e rassicurazioni, è sceso  dall’albero, vinto dal gelo, e si è fidato delle false promesse. Hanno portato via alcuni alberi, i più monumentali, trasportandoli con le radici esposte in un giorno talmente gelido che, come ha detto Dario Fo, qualunque giardiniere avrebbe sconsigliato l’operazione, ritenendola una sicura condanna a morte. E poi, solo pochi giorni dopo e  molte rassicurazioni, qualche giorno dopo si è compiuto lo scempio e nulla si è potuto fare per evitarlo.

Erano solo quattro alberi  rinsecchiti, mi ha detto ieri sera un uomo mentre parlavamo della vicenda. A parte il fatto che i quattro alberi erano 180, di cui parecchi veramente bellissimi, non è questo il punto. Il problema è che la cittadinanza aveva espresso una volontà in modo forte e deciso. Diciassettemila firme in pochi giorni non sono uno scherzo. E la volontà della cittadinanza è stata trascurata e schernita. Il bosco di gioia era ormai un simbolo, il simbolo di chi vuole una città a misura d’uomo e non di macchina, di chi vuole verde e non palazzi, di chi, come me, pensava che uniti avremmo vinto perché questa è la democrazia. Ma il sospetto a questo punto si avvicina pericolosamente alla certezza, nella mia mente: siamo in una dittatura, abilmente mascherata da democrazia. E temo che liberarsi da questa dittatura non sarà poi una cosa facile. Forse non basteranno nemmeno le elezioni, grazie alla nuova legge elettorale costruita ad hoc per favorire quelli che siedono sullo scranno del potere e vi hanno messo solide e artigliate radici.

Vien da chiedersi se abbiamo diritti, noi cittadini, o soltanto doveri. Se siamo degni di considerazione solo in periodo elettorale, nel tentativo di intortortarci con facili promesse raramente mantenute (ma l’Italia va bene e il contratto con gli italiani  è rispettato, il verde pubblico a Milano cresce e, in sintesi, siamo tutti gran signori, o almeno così ci dicono!). La domanda nasce dal fatto che le 17.000 firme, raccolte peraltro in pochi giorni, non sono bastate a far desistere Formigoni dal suo contrastato progetto. Non le voci di comuni cittadini e di personaggi famosi, non le ragionevoli proposte di diversa collocazione per il Pirellone bis, non l’appello di salvare uno dei pochi boschi centenari milanesi. Tutto inutile. Il progetto va per la sua strada e pazienza per gli alberi monumentali e per i cittadini che vedranno cancellata la luce del sole dalle loro finestre, sostituita dalla visione di un fallo di cemento armato, come un mostruoso indice puntato verso il cielo. Un’immagine quasi babilonica. E come Babilonia venne punita per il peccato di costruire un’immensa torre, qui la punizione toccherà l’intera  città, condannata a veder sostituito il verde con tristi palazzi. Fino a quando, ormai forse troppo tardi, capiremo le parole   del  grande capo indiano Seattle “Quando l'ultimo albero sarà abbattuto, l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro"

Forse qualcuno ricorda la favola del giardino segreto. C’era un gigante che possedeva un meraviglioso giardino, cintato da alte mura. Solo lui poteva goderne e impediva ai bambini di entrare per giocarvi. E’ così simile alla nostra vicenda da far pensare. Ma la differenza tra favole e realtà è che troppo spesso nella vita reale manca il lieto fine: nella fiaba il gigante si ravvede e dona il giardino ai bimbi, nella realtà il  giardino viene distrutto.

Sono triste, desolata e schifata. Sento un dolore nel cuore che sembra non avere logica, in fondo erano ‘solo’ alberi. Già, solo 180 alberi. ‘Solo’ un bellissimo giardino che avevo visto - per l’ultima volta e non lo sapevo! - solo pochi giorni prima. Allora ero ancora fiduciosa. Allora pensavo ancora che potevamo farcela, che bastava tirare solo un po’ avanti, fino alle elezioni. Ora non credo più a nulla, mi si è aperto un vuoto nell’anima, ho perso la voglia di scrivere sul  giornale, di buttare le parole e la fatica di scriverle al vento. Ho perso la voglia di manifestare. Tanto, a che serve? Contiamo meno del due di picche quando la briscola è cuori.

Pensavo non sarei più stata capace di scrivere, almeno per un po’. Volevo prendermi una pausa. Poi ho rivisto del foto di come era il bosco di gioia e lo scempio che ne è stato fatto e le dita sono corse agili, sulla tastiera, con un groppo alla gola e tanta tristezza per una vicenda in cui nessuno ha vinto, tutti abbiamo perso. “Ognuno è punito”, come dice il principe di Verona alla fine di ‘Giulietta e Romeo’. E questo articolo è nato principalmente per me, in sfogo a tutta la rabbia, la disillusione, la desolazione e lo sconforto.

Sono un’ingenua? Una stupida? Un’inguaribile idealista? Serve davvero lottare contro questo gigantesco mulino a vento? Amici lettori, lo chiedo a voi. Io non so più la risposta.

SABRINA GHINI