La Repubblica, venerdì 9 luglio 2004
DAL NOSTRO INVIATO
Il gigante Monsanto punta il futuro del suo business sul mercato
sudamericano
Nonostante le promesse ad ambientalisti e consumatori il governo sta cedendo
Si gioca nel Brasile di Lula
l’ultima partita degli Ogm
Viaggio tra gli agricoltori
del Rio Grande del Sud, dove la soia transgenica insidia le coltivazioni
tradizionali
Il racconto di Josè, che ha
visto il campo del vicino popolarsi di liane robuste, parassiti rari resistenti
agli erbicidi
PORTOALEGRE—Il furgone si ferma di fronte a
Palazzo Piratinì e i ragazzi cominciano a scaricare sacchetti di juta, che
allineano ordinatamente davanti all’ingresso che porta agli uffici di Germano
Rigotto, governatore del Rio Grande del Sud. Sui sacchetti c’è la scritta
Monsanto e, dentro, c’è l’arma con cui la multinazionale americana, da otto
anni, tenta di conquistare l’agricoltura mondiale: i semi di soia geneticamente
modificati, insieme all’erbicida, innocuo alle future pianticine Ogm, ma garantito
come letale per le erbacce che la soffocano. Per la loro protesta, i ragazzi di
Greenpeace hanno scelto Porto Alegre, perché il Rio Grande del Sud è il cuore
del Brasile Ogm: oltre il 90 per cento dei coltivatori brasiliani di soia
transgenica vive nello Stato governato da Rigotto. Alla stessa ora, qualche centinaio di chilometri più a nord, nel porto di Paranaguà, i
poliziotti, su ordine del governatore del Paranà, Roberto De Mello e Silva,
stanno fermando i camion carichi di soia che arrivano alle banchine: fanno test
sul contenuto e, se c’è soia transgenica, li rimandano indietro senza farli
scaricare. Il Paranà è uno Stato che si dichiara Ogm-free: De Melo ha fatto
bruciare i campi piantati a transgenico. Rigotto e De Melo sono dello stesso partito.
La battaglia Ogm divide, infatti, trasversalmente tutto il Brasile. Divide il
governo, divide il Parlamento, divide gli agricoltori, le industrie alimentari
e i supermercati. Non divide solo i consumatori che sono compattamente - 74 per
cento, come in Europa - contro gli alimenti transgenici. La partita che si
gioca nel paese sudamericano avrà un impatto decisivo sulle possibilità di una
futura egemonia dell’agricoltura transgenica, sul destino della Monsanto, il
gigante che cavalca l’ondata Ogm e, anche — visto che il 55 per
cento della soia esportata dal Brasile arriva in Europa, soprattutto come
mangime animale - sulla natura, geneticamente modificata o meno, della bistecca
che ci ritroveremo nel piatto nei prossimi anni. E la partita brasiliana non si
gioca sul fronte del consumo, ma su quello della produzione.
Da due anni, il Brasile è il maggior produttore
mondiale di soia. Al contrario di quella dei suoi due diretti concorrenti,
tuttavia - Stati Uniti e Argentina, che si spartiscono la quasi totalità delle
coltivazioni transgeniche – la soia brasiliana è, per lo più, non Ogm.
Tecnicamente, anzi, la soia transgenica è illegale in Brasile. Il problema è
che l’intenso contrabbando di semi dalla vicina Argentina ha moltiplicato in
pochi anni le coltivazioni Ogm: nel Rio Grande del Sud, oggi, più del 60 per
cento dei contadini coltiva soia transgenica. Di fronte alla prospettiva di
distruggere raccolti così massicci, il governo Lula, nonostante le promesse
elettorali, per due anni ha temporaneamente consentito raccolta e vendita della
soia Ogm. Il progetto di legge attualmente in Parlamento rinvia ogni decisione
a future valutazioni, caso per caso, dell’impatto ambientale delle produzioni
transgeniche. Ma, nel caso della soia, prevede un altro anno di moratoria. E’
l’anticamera, temono molti, di una legalizzazione di fatto: il risultato
sarebbe una modificazione decisiva nella geografia delle coltivazioni Ogm, che
porrebbe i consumatori mondiali, a cominciare dagli europei, di fronte ad una
assenza di alternative.
E’ la grande scommessa della Monsanto. Il
gigante di Saint Louis, Missouri, che produce il 90 percento delle sementi Ogm
nel mondo, è consapevole di quanto il suo destino ruoti intorno alla partita
brasiliana. Già in questi mesi, gli incassi registrati nel paese sudamericano
sono serviti a tenere a galla i conti, intaccati dalle difficoltà registrate
altrove, come in Europa. Ma, nella sua ultima conferenza agli analiisti, il
presidente Hugh Grant ha parlato a lungo delle prospettive che offre il grande
mercato agricolo brasiliano e ha lasciato intravedere la possibilità di
introdurre «nuove tecnologie».E’ un punto chiave: finora, l’espansione della
Monsanto, in Brasile, è stata bloccata dal fatto che le sue sementi, pensate
per climi temperati come sono Usa, Argentina e Rio Grande del Sud, non
risultano adatte al caldo e all’aridità del Paranà e del Mato Grosso, i due
Stati dove si concentra la produzione di soia brasiliana. Anche se né Grant,né i suoi collaboratori
confermano, tuttavia, la Monsanto avrebbe pronti, dicono in molti, semi
adeguati ai climi caldi. Se arrivassero in un Brasile che li ha resi legali,
niente potrebbe impedire che si espandano, in un baleno, fin dentro
l’Amazzonia.
E’ difficile, infatti, per un agricoltore, dir
di no alla «promessa transgenica»: raccolti maggiori, costi minori per il minor
uso di pesticidi e, dunque, maggiore rispetto per la natura. Tuttavia mentre
infuria il dibattito sulla pericolosità o meno per la salute, degli alimenti
Ogm, comincia ad aprirsi anche quello
sui benefici effettivi dell’agricoltura transgenica. La storia delle
coltivazioni Ogm è , infatti, giovane, quasi inesistente: è cominciata nel
1996. E se è , forse, ancora presto per capirne appieno gli effetti su chi li
mangia, otto anni cominciano a rivelarsi abbastanza per porre qualche domanda
inquietante per chi li produce.
A Tres de Maio, nel profondo della campagna
del Rio Grande del Sud, Antonio mostra trionfante due piante di soia. Nella
destra ha quella del suo campo, convenzionale, con 60 boccioli. Nella sinistra
quella del campo del vicino, transgenica: 20 boccioli. «Quest’anno ha piovuto
poco – dice - e queste nuove piante sono meno forti di quelle tradizionali». In
generale, sostiene Ventura Barbeiro, un agronomo che lavora per Greenpeace, il
problema dei raccolti è relativo: «Chi aveva tante erbacce ci guadagna molto,
chi ne aveva poche, poco». Il problema, però, è per quanto tempo. E il nodo
della questione - e
della promessa transgenica - è nei pesticidi.
I tre
quarti delle piante Ogm coltivate nel mondo sono state modificate con un unico
scopo: resistere agli erbicidi. O, meglio, ad uno specifico erbicida. Il
contadino pianta la sua soia Monsanto (marchio Roundup Ready) e, quando è
cresciuta un po’, ci spruzza sopra l’erbicida fornito dalla stessa Monsanto
(marchio, appunto, Roundup), nell’unico comodo «pacchetto tecnologico» di
Palazzo Piratinì. La piantina continua a crescere, le erbacce intorno muoiono:
punto e basta. E Invece no: le erbacce, come è nella loro natura, sono dure a morire
e, spesso, tornano. A Tres de Maio, ormai, il raccolto lo hanno fatto, ma un
altro contadino, José, indica il campo del vicino, convertito agli Ogm: «I
fiori - racconta - erano ben grossi, ma sotto si attorcigliava una specie di
liana - anche questa bella grossa, che poi si legava alla pianta vicina e così
via. Quando è andato a mietere, gli si formavano dei palloni enormi che si
incastravano nella macchina e, ogni cinque minuti, doveva scendere e
disincastrare tutto». Gli agronomi dicono che è un parassita poco comune, ma
come altri due registrati nelle campagne del brio Grande, è naturalmente
resistente al Roundup quanto la soia transgenica e la selezione imposta
dall’uso dell’erbicida ne ha favorito la moltiplicazione. E gli stessi agronomi
dicono che è questione di tempo prima che la normale mutazione genetica faccia
ricrescere le erbacce sterminate dal Roundup, ma trasformate in supergramigna,
resistente all’erbicida.
Ma anche
oggi, i primi dati statistici indicano quanto possa rivelarsi effimera la
«promessa transgenica». In base ai dati del ministero dell’Agricoltura Usa, un
esperto americano, Charles Bernbrook, ha calcolato che, sugli otto anni di
coltivazione Ogm, l’uso di pesticidi negli Usa è risultato minore del 5 per
cento nei primi tre anni, ma
maggiore dell’11 percento negli ultimi tre. Barbeiro conferma: «Il primo anno una spruzzata di 2,5
litri di erbicida per ettaro è sufficiente. Ne1 secondo, si scopre che non
basta e ce ne vogliono due. Nel terzo ne occorrono tre e non basta».
Paradossalmente,
il rinvio delle decisioni brasiliane sugli Ogm a future valutazioni di impatto
ambientale può dare più tempo alla Monsanto per esercitare le sue pressioni, ma
anche favorire un dibattito su quanto il transgenico faccia bene, oltre che ai
consumatori, alle campagne.
Il rischio, infatti è anche che lo stesso
luccichio della «promessa» del
guadagno facile sia non solo breve, ma, alla lunga, controproducente, pur
indipendentemente dalle modificazioni genetiche, perché rischia di spingere ad
una monocultura che impoverisce i suoli. Lo si vede in
Argentina, il paese che più rapidamente e più radicalmente — sotto
la spinta della crisi economica e nella frenesia di
esportare—si è convertito alla soia, dedicandole metà della sua terra arabile e
dove oggi suona l’allarme rosso: a dicembre, l’istituto di Tecnologia agraria
ha avvertito che, senza un ritorno alla rotazione delle colture, i suoli
diventeranno sterili. E’ la prova di quanto possa essere pesante il pedaggio
che i paesi emergenti si trovano a pagare per stare sul mercato mondiale. E
anche la decisione brasiliana, dice Isabel Meister, coordinatrice della
campagna antiOgm di Greenpeace in Brasile, alla fine sarà, probabilmente, poco
brasiliana. A decidere saranno gli europei: «Se continueranno a rifiutare i
transgenici, i brasiliani non potranno non tenerne conto».
Nel Rio Grande del Sud si coltiva il 90 per
cento della soia geneticamente modificata prodotta dal Brasile
E’ la coltivazione gm più diffusa: in tutto 3
milioni di ettari
In Brasile 7,4 milioni di ettari di terreno
sono coltivati con Ogm
Il 55% della soia gm brasiliana viene
esportata in Europa
Il 74% dei consumatori brasiliani sono contari
agli ogm
In campagna elettorale, Lula aveva promesso di
vietare gli ogm
Per 2 anni Lula ha consentito raccolta e
vendita di soia gm
Da ottobre c’è una moratoria di un anno per la
soia. Vietati gli altro gm
La moratoria può preludere alla legalizzazione
della soia gm