Da alcuni anni si notavano man mano gli effetti della legge
regionale del 1996 cosiddetta "dei sottotetti": riusare quest'ultimi
a scopi residenziali per" (oh! le buone intenzioni) "contenere il
consumo di territorio" e (qui la presa per i fondelli è dichiarata) per
"favorire la messa in opera di interventi tecnologici (non si deve
dire tecnici ?) per il contenimento dei consumi energetici". Ma
non bastava, bisognava essere più precisi ai fini dello scempio verso la povera
città già da tempo maltrattata attraverso ogni genere di antiurbanistiche e
antiarchitetture. Ecco dunque la legge n. 19 del 1999 che, all'art. 6, fa
giustizia dei limiti alla violenza posti dal precedente art. 2 e permette,
anzi vuole che "gli interventi finalizzati al recupero dei
sottotetti" comportino "l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e
terrazzi per assicurare l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione
nonché... modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di
pendenza delle falde". Vale a dire: le case, i palazzi storici possono
aumentare di un intero piano, senza nemmeno il pudore di un arretramento (come
usava). Il cornicione viene sovrastato da non meno di un metro e mezzo-due o
più di muratura a filo con la sottostante; in alto appare un altro cornicione
da cui parte il supertetto che, qualora occorra per dimensionare secondo
dispendio di ricco spazio-volume i nuovi locali, parte in tromba verso cuspidi
norvegesi. Nel fascione ritto appaiono finestrazze, sulla pendenza enormi
abbaini come casette unifamiliari o come canili collettivi (talora i piani in
più sono due, infatti).
Capisci, Eddy, tu che hai apposto al tuo Fondamenti di urbanistica il
sottotitolo La storia e la norma: siamo di fronte a un eccezionale ribaltone
del rapporto fra regole e attuazione: si fissavano regole e poteva nascere la
nuova realtà dentro il rispetto delle medesime; se non c'era rispetto non c'era
nuova realtà; ora si stabilisce, si disegna e si attua la nuova realtà violando
la regola preesistente, persino il diritto/dovere per così dire naturale, cioè
equo in senso filosofico. Inoltre, nota Maria Cristina Giambruno, "si è
consentita la modificazione dello skyline della città e l'aumento della
pressione residenziale senza alcun adeguamento degli standard. La legge ha
infatti ottenuto la liberalizzazione degli interventi sia in deroga agli indici
e ai parametri urbanistici previsti dagli strumenti vigenti sia alle
misure imposte dalla legge regionale n. 51 del 1975" ("ANANKE",
n. 37, marzo 2003, p.17). Le migliaia di casi (2000 accertati nel solo 2002,
altri 2000-2500 dati per sicuri nel 2003, altre migliaia sommando le realizzazioni
degli anni precedenti ai progetti odierni in corso di
attuazione) rappresentano l'orribile eppur fresco volto in primo piano, al
proscenio, di una Milano che ha tenuto nascosto dietro le quinte un altro
volto altrettanto osceno: dico dei 16.000 primi casi di neo-condono emersi
appena si è vista l'occasione dell'ennesima sanatoria. Intanto è lontana dalla
conclusione la regolarizzazione dell'enorme abusivismo anteriore. Così
è, nella Milano capitale economica e non più morale, così è nella
Milano orfana delle due classi sociali che ne sostanziavano i vecchi
valori: classe operaia e borghesia industriale.
Ricordo bene: vigeva ancora la giunta di sinistra quando sortì la questione dei
sottotetti. Un assessore comunista all'edilizia privata, il relativamente
giovane Lanzone, lanciò lui lo slogan esclamativo "abitiamo i
tetti!". Che l'abbia punito il diavolo dell'architettura! L'intesa,
naturalmente, era, e oggi è, abitiamo i sottotetti inabitabili, appunto
adeguandoli ecc. ecc. - La sinistra seminò, la destra raccolse.
La legge regionale, domandi tu, non ha trovato la giusta opposizione della
cultura architettonica e urbanistica, dei politici avveduti, degli esteti
almeno? Ti rispondo no e no e no. Qualcuno di noi del Poli ha cercato di far
sentire la voce del dissenso, ma è stato zittito dalla stessa condizione di
fatto del doppio potere para-culturale: 1) l'urbanistica postmoderna del famoso
documento di tre anni fa orientativo delle azioni giuntiste (Gigi Mazza, per
intenderci, e torma di nuova destra urbanistica consenziente: cioè
l'urbanistica la fa la verità del mercato, la fanno gli imprenditori e
impresari "dinamici", ecc. ecc., già ne ho scritticchiato in qualche
parte poco reperibile del sito); 2) l'Ordine professionale degli architetti, e
quello degli ingegneri per la parte edile, e quello dei geometri: che hanno
evitato, dopo qualche flebile sospiro iniziale degli architetti,
disarmato e disarmante, di disturbare con interventi "educativi"
i propri iscritti, trepidanti di calarsi come avvoltoi sui bei tegolati tetti milanesi,
essendo loro stessi, talvolta, a smuovere il privato inerte o gnucco davanti
all'offerta regalizia.
In ogni modo il quadro milanese per recepire pienamente il quale abbiamo dovuto
attendere che la materia si solidificasse e si esponesse in pieno al vento,
trova figli e figliastri in tutta la Lombardia (logico, se la legge è
regionale). So peraltro che norme simili, addirittura uguali, si stanno
applicando un po' dappertutto. Quale termine inventare dopo
"Malpaese" (Valentini) per designare il disastro ambientale,
territoriale, urbano, architettonico, umano maschile e femminile, terraneo,
acqueo, aereo della ex Bell'Italia amate sponde?
Basta, salvo ricordarti che l'alta cultura architettonica milanese
dell'immediato dopoguerra si scagliò contro i sovralzi ammessi dalla legge
sulla ricostruzione per contribuire (si credeva) a risolvere la crisi degli
alloggi. Riproduco qui sotto un passo di un mio saggio sulla ricostruzione (ora
ripubblicato nel libro che hai ricevuto) in cui mi ricollego a Enrico Griffini
e alla sua potente denuncia:
“…Ma il più orrendo disastro milanese è rappresentato dai sovralzi parziali o
totali di edifici risparmiati dalla guerra, conseguenza di decadenza morale e
civile [...]. All’ordine edilizio della nuova Milano si è sostituito il
disordine e il caos”. Un quadro urbanistico di riservata bellezza è stato
violentato o deturpato senza rimedio. “Tutto il problema edilizio è oggi
deformato dalla speculazione con abusi di ogni genere a dispetto delle
Sovrintendenze, delle leggi, dei decreti. La norma del ‘fatto compiuto’ domina
e ispira le varie soluzioni”. Griffini elenca alcune fra le più importanti
strade e piazze, come via Vincenzo Monti, piazza Cadorna, piazzale Sempione,
corso Concordia, a cui potrei aggiungere una enorme massa di altri casi tutti
verificabili oggigiorno e insopportabili a ogni visione nei nostri
obbligati passaggi. Lo sconforto e l’indignazione di Griffini davanti
all’allentamento dei tessuti morali che nessuna causa economica delle
deturpazioni può giustificare, precipitano in una invettiva che dobbiamo
assumere attualmente nel suo valore pedagogico, riconducendola alla
cinquantennale storia di rovina edificatoria dell’intero Paese e ulteriormente
avanzante: “una licenziosa e babelica febbre costruttiva che conduce questa
nostra città a imbruttirsi oltre ogni previsione, perdendo tutta la sua
organicità e l’unitaria bellezza formata e difesa dai nostri padri nella
pazienza dei secoli”.
(Citazioni letterali: da E.Griffini, Il problema della ricostruzione in Italia
con speciale riguardo alla Lombardia, in “Edilizia moderna”, nn. 40-41-42,
dicembre 1948, pp.42-52).
P.s.- La quarta parte del libro, Milano e Milanese, può dirtela lunga sulla mia
critica ventennale circa la condizione della città amata. E per il punto
dell'ultimo minuto ti basti leggere la premessa a questa parte: una specie di
invettiva verso l'attuale volto di Milano, quello degli insopportabili modisti,
dei commercianti esosi, della giunta insipiente, dello spaventoso disordine
dovuto alla schizofrenia di una città spopolata, quanto a residenti effettivi,
e aggredita quanto a consumi, a giochi finanziari, a lavori terziari di ogni
tipo, seri e no, normali e no, anche oscuri e innominabili. Anche, una specie
di rimpianto di "come eravamo".