Repubblica, 13 aprile 2004

CONTROCANTO
La città brutta e il freno del Comune
LUCA BELTRAMI GADOLA

 

Il Brutto è un treno in corsa, inarrestabile, e la disperata manovra dell´assessore Gianni Verga di tirare il freno d´emergenza servirà a poco ed è tardiva, chiudiamo la stalla dopo i buoi fuggiaschi: siamo ormai all´architettura spazzatura. Non credo che si riaprirà il dibattito sul Brutto - uno dei nomi dell´estetica - e in pochi si metteranno a rileggere Dessoir o Lukács o Adorno o Karl Rosenkranz ma nessuno può dimenticare le parole di Victor Hugo: «Il bello non ha che un tipo: il brutto ne ha mille». Le mansarde milanesi.

Non solo loro, c´è ben altro. Di chi è la colpa? Delle leggi, quali che siano, in materia di autorizzazioni edilizie e della mancata condizione di separazione delle professioni: fin dall´origine ? dalla prima legge sui lavori pubblici e dalla prima legge urbanistica ? bisognava separare la professione di architetto da quella di procacciatore di licenze edilizie.

Quest´ultima, separata e meno nobile, fatta di conoscenze tecnico-legali, di "conoscenze" personali, di nuotate in acque torbide, ma non per questo meno utile agli operatori immobiliari, avrebbe salvato probabilmente l´architettura dal suo attuale declino.

Nelle chiacchiere mondane tra immobiliaristi si sono passati e si passano, tra un tramezzino e l´altro, i nomi degli architetti "bravi": quelli che ti fanno ottenere di tutto; raramente sono anche quelli che definiremmo i migliori. Questo ha pesato sulla professione e molto sul ricambio generazionale: le vecchie volpi hanno avuto la meglio sui giovani che magari volpi non volevano essere. Ma non è solo questo perché anche la rendita di posizione vi ha messo del suo: a mano a mano che lasciando la periferia ci si avvicina al centro ed il valore venale delle case sale, per gli operatori il pregio estetico perde peso rispetto agli altri fattori. E così siamo arrivati ad oggi e qualcosa, oggi, sembra cambiare almeno nei grandi progetti: speriamo che gli architetti famosi non siano diventati solo il cavallo di Troia per far passare quello che le volpi locali non avrebbero osato o potuto. E così, parlando di grandi progetti, abbiamo lasciato l´architettura per scivolare nell´urbanistica: a quando la mano sul freno di emergenza per fermare la brutta urbanistica? I buoi stanno lasciando la stalla mentre l´intellighenzia s´interroga sulla città, dove comincia, dove finisce, mentre il tempo delle decisioni stringe perché fino ad ora si è deciso di non decidere e i risultati si vedono. Lasciata l´architettura e col passare all´urbanistica siamo arrivati al pubblico urbano del manufatto città: siamo nel vero regno del brutto. Qui ogni ragione cade, non ci sono interessi, non ci sono "volpi", non ci sono procacciatori di licenze, c´è l´insipienza pura: qui il Brutto non ha nemmeno più la dignità di antitesi al bello. Il cerchio si chiude nel dilemma: recentemente è la brutta architettura degli edifici che si riflette nell´orrendo arredo urbano o è quest´orrendo che condiziona l´architettura degli edifici? Allo Spazio Oberdan la Provincia con una mostra c´invita a riflettere sui primi vent´anni del dopoguerra - la ricostruzione - e la Triennale, in mezzo allo sfarfallio di tanti eventi di pubblicità aziendale, ha ripreso i grandi temi dell´architettura e dello sviluppo urbano. Avanti piano ma avanti.