La Repubblica Milano, 24/1/2004
I sottotetti e il profilo
della città
LODOVICO
MENEGHETTI *
Da alcuni anni si notavano man mano gli effetti milanesi della
legge regionale del 1996, cosiddetta dei sottotetti. Ma non bastava, bisognava
essere più precisi ai
fini dello scempio verso la povera città, già da tempo maltrattata attraverso
ogni genere di realizzazioni antiurbanistiche e di antiarchitetture. Ecco
dunque la legge numero 22 del 1999 che permette, anzi vuole, che «gli
interventi finalizzati al recupero dei sottotetti» comportino «l’apertura di
finestre, lucernari, abbaini e terrazzi». Vale a dire: le case, i palazzi
storici possono aumentare di
un intero piano, senza nemmeno il pudore di un arretramento. Il
cornicione viene sovrastato da non meno di un metro e mezzo di muratura a filo
con la sottostante, in alto appare un altro cornicione, da cui si leva il
supertetto che parte in tromba verso cuspidi norvegesi. Nel fascione ritto
appaiono finestrazze, sulla pendenza enormi abbaini come casette unifamiliari
o come canili collettivi.
Siamo di fronte a un eccezionale ribaltone
del rapporto fra regole e attuazione. In precedenza, infatti, si fissavano
regole e poteva nascere la nuova realtà dentro il rispetto delle medesime. Se
non c’era rispetto, non c’era nuova rèaltà; ora si stabilisce, si disegna e si
attua la nuova realtà, violando la regola preesistente.
Le migliaia di casi rappresentano
l’orribile, eppur fresco, volto in primo piano, al proscenio, di una Milano
che ha tenuto nascosto dietro le quinte un altro volto altrettanto osceno:
parlo, infatti, dei 16.000 primi casi di neo-condono emersi, appena si è vista
l’occasione dell’ennesima sanatoria. Intanto, è lontana dalla conclusione la
regolarizzazione dell’enorme abusivismo anteriore.
Così accade nella Milano capitale economica e
non più morale, così accade nella Milano orfana delle due classi sociali, che
ne sostanziavano i vecchi valori: stiamo parlando della classe operaia e della
borghesia industriale.
La legge regionale, ci si domanda, non ha
trovato la giusta opposizione della cultura architettonica e urbanistica, dei
politici avveduti, almeno degli esteti?
No, dico assolutamente di no.
Qualcuno di noi del Politecnico ha cercato
di far sentire la voce del dissenso, ma è stato zittito dalla stessa condizione
di fatto del doppio potere paraculturale: l’Ordine professionale degli
architetti, e quello degli ingegneri per la parte edile, e quello dei geometri
hanno evitato, dopo qualche flebile sospiro iniziale degli architetti, di
disturbare con interventi “educativi” i propri iscritti, trepidanti di calarsi
come avvoltoi sui bei tegolati tetti milanesi, essendo loro stessi, talvolta,
a smuovere il privato inerte davanti all’offerta regalizia.
Tutto ciò è sufficiente a fornire un quadro
della situazione, salvo ricordare che l’alta cultura architettonica milanese
dell’immediato dopoguerra si scagliò contro i sovralzi ammessi dalla legge
sulla ricostruzione, per contribuire a risolvere la crisi degli alloggi.
La realtà ora è che un quadro urbanistico di
riservata bellezza è stato violentato o deturpato senza rimedio. Come sostenevo
già in un mio saggio, «all’ordine edilizio della nuova Milano si è sostituito
il disordine e il caos». E ad alcune fra le più importanti strade e piazze,
come via Vincenzo Monti, piazza Cadorna, piazzale Sempione, corso Concordia,
potrei aggiungere una enorme massa
di altri casi tutti verificabili oggigiorno,
e insopportabili a ogni visione nei nostri obbligati passaggi.
LODOVICO MENEGHETTI
*architetto già ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano e già direttore del Dipartimento di progettazione dell’architettura